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04 maggio 2018
Redazione ABC
Negli ultimi anni abbiamo sempre più sentito parlare di influencer e non solo nel campo più tecnico del web marketing. L’immagine di una persona che grazie al suo cospicuo numero di follower riesce a porsi come intermediario tra un brand e il pubblico veicolando prodotti e servizi è ormai all’ordine del giorno e se fino a qualche tempo fa consideravamo influencer solo personaggi pubblici come Chiara Ferragni oggi questo concetto sembra essersi evoluto ed “avvicinato” alla nostra vita di tutti i giorni. Ma quando nascono gli influencer?
Le prime definizioni del concetto di Influenza avvengono con la diffusione dei mezzi di comunicazione di massa: mezzi progettati per mettere in atto forme di comunicazione «aperte, a distanza, con tante persone in un breve lasso di tempo». La prima grande teoria che si sviluppa è quella definita Bullet Theory (Teoria dell’ago ipodermico): siamo negli Anni 40, gli anni della propaganda dei regimi fascisti (ma anche delle democrazie occidentali come USA e Regno Unito) e secondo gli studiosi del tempo i mass media sono potenti mezzi di persuasione che agiscono direttamente su masse passive e inermi. Il messaggio mediale secondo questa teoria viene ricevuto dall’audience senza mediazioni o feedback.
Nel 1955 però alcuni studiosi si rendono conto che il processo per cui un messaggio giunge a un pubblico è molto più complesso: Lazarsfeld e Katz affermano che la comunicazione non è un flusso univoco ma un processo in due fasi: nella prima fase il messaggio si diffonde dai Media agli Opinion Leader, nella seconda da quest’ultimi a determinati gruppi sociale di riferimento. Ma chi sono questi Opinion Leader? Si tratta di individui che non hanno una particolare autorità o potenza economica, ma sono solo i più competenti nell’uso dei media e i più esposti ai messaggi dei media stessi all’interno del loro gruppo sociale di riferimento: sono canali che funzionano attraverso legami interpersonali e filtrano i messaggi dei media nelle loro audience specifiche (che quindi ora appaiono molto meno monolitiche di quelle immaginate nel decennio precedente). I mass media allora non sono i soli responsabili dei cambi di opinione dell’audience, ma intervengono anche gli opinion leader all’interno di un gruppo sociale con cui condividono un codice di valori. L’audience stessa non è univoca, ma esistono molte nicchie che si attivano grazie alla relazione con gli opinion leader di riferimento (su determinati temi, valori, abitudini, interessi, etc).
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Il concetto di Opinion Leader teorizzato negli Anni 50 è molto vicino a quello di Influencer che conosciamo oggi: si tratta di persone qualsiasi – almeno all’inizio della loro “carriera” – che grazie alla loro conoscenza del funzionamento dei media (nel nostro caso dei social network) riescono a canalizzare le conversazioni di determinati brand (ma anche politici, soggetti istituzionali, etc) e veicolarle nelle loro audience specifiche (che altro non sono che i loro follower). La differenza è che mentre il modello di comunicazione su cui si trovarono a lavorare Lazarsfeld e Katz era un modello broadcast, una “piramide” in cui i media occupano la posizione apicale, nei social network ogni account ha (almeno in teoria) lo stesso peso e così, ad esempio, la Coca-Cola comunica e “si comporta” esattamente come il signor Mario Rossi.
Tuttavia sappiamo che neanche questo è vero, perché se i social network sono una rete è innegabile che ci siano dei nodi più importanti di altri. Ed ecco i nostri influencer: account che “risultano influenti e rispetto a uno o più topic, nei confronti di qualcuno (audience), condividendo opinioni e contenuti, prendendo parte a conversazioni, secondo alcune modalità, condizionano le volontà e le scelte altrui”. Il concetto di “influenza”, come si può dedurre da questa definizione non è quindi quantitativo (non dipende dal numero di follower) ma qualitativo (determinato cioè dalla forza con cui si riesce a imprimere un cambiamenti nei confronti di un pubblico). Per questa ragione oggi sembra sempre più che la comunicazione dei social network si leghi a queste dinamiche di micro-influencing: ci sono degli account che risultano particolarmente influenti nei confronti di audience molto ristrette su temi molto specifici e proprio per questo riescono a trasmettere i messaggi di determinati brand e conseguentemente monetizzare (e far monetizzare).
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